Le materie prime tra le carenze di quelle rare, la transizione energetica tutta da compiere, e la guerra in Ucraina. Tutto questo crea inflazione. Proteggersi è necessario.
Le materie prime come protezione contro il caro vita. Ne abbiamo scritto nella guida ai commodity ETF pubblicata domenica.
Qui riprendiamo l’argomento commodity per sottolineare ancora meglio quanto sta avvenendo da metà 2020. Le materie prime hanno avviato in quel periodo una corsa rialzista che per alcune ad un certo punto si è esaurita, ma per la maggior parte è proseguita e non sembra volersi arrestare.
Vedasi, ad esempio, i livelli record di prezzo del nickel o il prezzo del palladio.
Se l’inflazione galoppante dovuta a più fattori stava spingendo fortemente verso l’alto il prezzo di quasi tutte le commodity, adesso la guerra aggrava la situazione presentandoci scenari non attesi, ma a cui bisogna fare fronte adesso.
Come sappiamo molte materie prime e in particolare le cosiddette terre rare, sono necessarie per sostenere la transizione energetica.
Allo stato attuale delle conoscenze tecnologiche che abbiamo, nickel, platino, palladio, cobalto, litio, sono materie prime necessarie per creare gli accumulatori di energia e le celle combustibile e alcune di esse sono necessarie anche nell’industria elettronica. Non abbiamo l’alternativa.
Già questo fattore aveva lasciato presagire, in tempi non sospetti, che il prezzo di tali materie prime scarse, sarebbe cresciuto nel corso dei prossimi anni.
La guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina, tuttavia, pone un nuovo scenario inatteso.
Nel nuovo scenario della guerra in Ucraina, non ci sono soltanto le materie prime metallifere, ma anche quelle agricole come il grano. L’Ucraina e la Russia sono il granaio d’Europa, e sarà difficile sostituirli a meno che chi ha appezzamenti di terra abbandonati da decenni non si decida a coltivarli.
La cesura tra Occidente e Russia, questo è l’elemento che va valutato con particolare attenzione, non è momentanea. Si è creato un vero strappo tra Unione Europea, USA, UK e Russia.
Uno strappo che non appare ricucibile nel breve periodo. Le sanzioni imposte alla Russia permarranno e probabilmente a lungo.
Di conseguenza la Russia, ricca in nickel, palladio e altri elementi essenziali alla transizione energetica, potrebbero scarseggiare. Putin potrebbe non mandarcene per ritorsione. Tra le sanzioni applicate alla Russia, infatti, ci sono quelle che riguardano il divieto di esportare in quel paese tecnologia avanzata.
Se così stanno le cose, investire nelle materie prime pare essere quasi un imperativo, una necessità per proteggere il portafoglio finanziario dagli scossoni.
Ed è così, basti vedere il rendimento delle azioni e quello delle materie prime: in molti casi appaiono sorprendentemente inversamente proporzionali in questa fase. Le azioni crollano, le materie prime vanno su come non mai.
Rimarchiamo l’aspetto della scarsità delle commodity. La Russia esporta il 43,9% del palladio mondiale e il 14,1% del platino necessario.
Anche il neon è un metallo raro esportato in grandi quantità dalla Russia, e serve come l’aria nella produzione di semiconduttori.
Secondo quanto riportato dall’Economia del Corriere, che cita una analisi condotta pochi giorni fa da JPMorgan, il mondo occidentale ha riserve di queste commodity rare per 4 o 6 mesi.
Della Russia, pare, non se ne potrà fare a meno e il nuovo equilibrio mondiale da riscrivere ci presenta così un rebus di difficile soluzione: alimentare o non alimentare l’industria bellica di Putin per consentirgli la restaurazione dell’impero zarista?
Writer freelance dal 2013 ha studiato informatica e filosofia ed anche un pizzico di sociologia. Nel 2016 ha scoperto la crypto economy e da allora scrive di blockchain e criptovalute, per approfondire un movimento che non è fatto solo di esperti matematici e crittografi, ma di gente che genera una nuova economia dal basso.