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Moody’s non si pronuncia sull’Italia e rimanda l’esame aggiornando il calendario

Da:
Fabio Carbone
Pubblicato: Mar 17, 2019, 10:01 GMT+00:00

Moody’s rimanda l'Italia a settembre. La società di analisi finanziaria fa slittare la pubblicazione del rating sul debito sovrano, ma i mercati hanno già emesso il loro verdetto.

Moody's

In una nota ufficiale datata 15 marzo la società di ricerche finanziarie americana Moody’s, ha annunciato uno slittamento del calendario di date in cui emetterà il rating che riguarda l’Italia, ma anche la città metropolitana di Istanbul, la città metropolitana di Izmir e il rating della Serbia.

La prossima data in cui Moody’s ha già programmato l’emissione del rating sull’Italia è il 6 settembre 2019, presumibilmente, in mancanza di altre informazioni, sarà questa l’unica data in cui la società comunicherà le sue valutazioni sullo stato di salute dell’economia italiana e in particolare sul debito sovrano.

Ricordiamo che Moody’s fornisce tali informazioni finanziarie come servizio ai mercati e non costituisce un rating ufficiale sui governi. Le sue analisi, come quelle di Fitch o Standard & Poor’s, sono da intendersi come analisi previsionali. Indubbio che data la loro influenza acquisita, hanno una valenza rilevante nelle strategie adottate dagli investitori.

Come interpretare la mancata pubblicazione del rating sull’Italia?

Nessuna comunicazione ufficiale da parte di Moody’s motiva il perché ha scelto di non pubblicare il rating sull’Italia.

La decisione, come è ovvio, si presta a tante interpretazioni.

Che Moody’s abbia voluto compiere un atto di benevolenza nei confronti del nostro paese, evitando di declassare ulteriormente il nostro debito alla categoria di spazzatura? Baa3 per Moody’s e Bbb- per i mercati.

Oppure gli analisti di Moody’s vogliono attendere le ricadute della Brexit sull’intera economia europea ed italiana?

O forse attendono i risultati, negativi o positivi che siano, che innescheranno quota 100 e reddito di cittadinanza sulla nostra economia?

I mercati si sono già pronunciati

Secondo Il Sole24Ore, i mercati si sono già pronunciati da tempo e per loro il debito italiano vale come la spazzatura: junk bond, obbligazioni spazzatura.

Il quotidiano economico italiano parte dalla comparazione dei tassi di interesse dei titoli di stato degli altri paesi della UE ,con il tasso di interesse riservato dai mercati all’Italia.

Mentre paesi come la Spagna e il Portogallo emettono titoli di stato con tassi di interesse intorno all’1,25%, i nostri titoli di stato devono il 2,5% di interessi.

Molto distanti da noi la Francia e i Belgio i cui titoli di stato rendono circa lo 0,50% e i titoli di stato dei Paesi Bassi e della Germania, con rendimenti nettamente inferiori (circa lo 0,25%).

Le conseguenze dei tassi di interesse alti sull’economia italiana

Dai calcoli fatti da Il Sole24Ore, risulterebbero per lo stato italiano 3 miliardi di interessi in più da pagare agli investitori entro il 2019.

L’aggravio ricadrà sugli italiani, nella forma di minori servizi, minori investimenti o più tasse da pagare.

In che modo l’Italia potrà uscire dalla morsa degli investitori?

Non c’è altra strada se non dimostrare di essere un paese affidabile, che mantiene gli impegni internazionali presi, che applica una politica economica sostenibile per gli italiani stessi prima che per i mercati.

Attivare politiche di sostegno sociale, che come risvolto hanno poi lo sblocco agli aumenti delle tasse comunali come ricordato dal recente rapporto della Cgia di Mestre, non è una strategia innovativa ma sempre la solita strategia politica che gli italiani subiscono da decenni.

Servono gli investimenti per ristrutturare una Italia che in molti punti crolla letteralmente a pezzi, serve formare uomini e donne che possano svolgere questo lavoro che richiederà non anni, ma forse decenni.

Ristrutturare il sistema Italia e mantenere gli impegni presi, farà bene anzitutto agli italiani, i quali, ha certificato l’Inps, nel 22% dei casi ricevono uno stipendio inferiore ai 9 euro lordi ora.

Sull'Autore

Writer freelance dal 2013 ha studiato informatica e filosofia ed anche un pizzico di sociologia. Nel 2016 ha scoperto la crypto economy e da allora scrive di blockchain e criptovalute, per approfondire un movimento che non è fatto solo di esperti matematici e crittografi, ma di gente che genera una nuova economia dal basso.

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