Il modello Germania è in crisi? L'Economia tedesca in affanno di questi tempi è a un bivio e probabilmente lo è tutto il resto dell'Europa.
Il modello Germania è in crisi e non è una notizia che possa far gioire l’Italia, perché dei 660 miliardi di euro di export del 2023 calcolati dal Report Export 2023 di Sace “Il futuro è adesso. Insieme”, una buona fetta va verso la locomotiva d’Europa. E se la locomotiva si ferma tutti sanno cosa succede.
Ma perché negli ultimi mesi si scrive sempre più di una economia tedesca in affanno e a un bivio? Perché un insieme di fattori che ci riguardano molto da vicino stanno mettendo in crisi un modello che non è soltanto tedesco, ma più in generale europeo.
Prendiamola alla larga, ma non troppo. La Germania nell’era dei combustibili fossili non ha mai avuto alcun problema a produrre energia. Il carbone non le mancava, poi ha deciso di decarbonizzare seguendo una tabella di marcia che, vista da fuori, appare autolesionista.
Sì, perché contemporaneamente la Germania ha deciso di chiudere le centrali nucleari. Decisioni prese prima della guerra in Ucraina e che probabilmente senza quest’ultima sarebbero state compatibili con la disponibilità (enorme) di gas proveniente dalla Russia. Ricordiamo che in parallelo al Nord Stream 1 era ormai pronto e solo in attesa delle autorizzazioni tedesche il Nord Stream 2. Autorizzazioni non concesse a fine 2021, poi la guerra e fine dei rifornimenti di gas naturale.
La Germania si è ritrovata quasi strozzata, ma ha proseguito sulla strada del no al nucleare. Di conseguenza ora deve fare i conti con una energia che le costa di più e tutti i processi produttivi delle sue industrie che costano e costeranno di più. Il gas lo sta importando attraverso altri canali più costosi.
Non dimentichiamo l’energia prodotta dalle rinnovabili, ma non è programmabile.
Anche il settore automobilistico è in crisi in Germania. E qui i dati non mancano. Leggendo l’approfondita analisi di Federico Rampini sul Corriere della Sera si apprende che l’industria dell’automotive tedesca ha immatricolato il 20% in meno di auto rispetto al 2019 (periodo precedente la pandemia!).
Il principale mercato di sbocco delle auto tedesche è la Cina, ma i cinesi stanno orientando i loro interessi verso i marchi dell’automotive cinesi. In particolare verso l’elettrico. Nell’elettrico la Cina è più avanti rispetto all’Europa, tanto che i marchi cinesi stanno penetrando il mercato vergine europeo.
Ma anche alcuni modelli di automobili tedesche sono elettriche! Vero, ma le materie prime lavorate e le componenti essenziali di queste auto provengono dalla Cina. Quindi ai cinesi costa meno comprare un’auto elettrica prodotta da un’azienda del proprio paese, e comunque queste ultime sono più avanti di quelle tedesche.
Giunti quasi a metà della nostra riflessione, già si comprende come mai il modello Germania è in crisi. Ma non è tutto.
Il settore immobiliare tedesco è in crisi. Il fattore scatenante che ha fatto venire i nodi al pettine è ben noto a tutti, si chiama politica monetaria restrittiva. Il rialzo dei tassi di interesse ha portato all’aumento dei costi di finanziamento di un mutuo, alla riduzione degli ordini del 50% e al conseguente fallimento di alcune società.
Il MilanoFinanza in un interessante approfondimento sul tema ricorda che importanti gruppi del settore hanno portato i libri contabili in tribunale: Development Partner, Projekt-Gruppe, Euroboden.
Il timore di alcuni economisti tedeschi è che fino al 30% delle imprese di piccole e medie dimensioni del settore immobiliare potrebbe sparire dal mercato.
Va aggiunto che in Germania il cambio di alcune regole aveva permesso alle imprese di sviluppo immobiliare di trasformarsi in holding che investivano sul mattone soltanto risorse finanziarie, affidando a terzi il lavoro di costruzione vero e proprio.
In tempi di bassi tassi di interesse era facile vendere i progetti immobiliari ben prima di scavare per gettare le fondamenta e così queste imprese sono cresciute in modo oggi evidentemente sproporzionato.
Il rialzo dei tassi di interesse repentino, e che non accenna a fermarsi, sta riportando il settore immobiliare tedesco alla realtà. Anche la compravendita di immobili nel residenziale si è raffreddata drasticamente. I tedeschi evitano le alte rate del mutuo preferendo vivere in affitto: costa meno.
Ma dire immobiliare è dire molto di una economia, perché traina l’impiantistica e il settore dell’arredo.
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Il ritardo cronico del settore ferroviario tedesco è forse il meno rilevante, ma è significativo se aggiunto alle altre criticità sin qui presentate. Sulle rotaie infatti non transitano solo persone, ma anche le merci.
Una storia raccontata dal Corriere della Sera spiega che la Svizzera si rifiuta di far attraversare il suo confine ai treni tedeschi che accumulano un ritardo superiore ai 16 minuti. Vengono fermati a Basilea. Il problema è che il numero di treni in ritardo provenienti dalla Germania ha raggiunto la metà di quelli che circolano sulla tratta. La Svizzera non ha intenzione di mettere in crisi il suo sistema ferroviario a causa dei problemi delle ferrovie tedesche. Alla precisione ci tengono, gli svizzeri. E i tedeschi?
Ironia a parte il problema in Germania è che lo sviluppo dell’alta velocità “è ferma ai tempi del nostro pendolino”, scrive il Corriere. Nei primi decenni del nuovo millennio la Germania non ha investito adeguatamente nell’infrastruttura ferroviaria, possiede la più lunga rete ferroviaria d’Europa (38.000 Km) ma è stata poco ammodernata.
Il problema è anche nella sua struttura a maglia e non a rete che irradia da un solo o da pochi centri (vedasi Francia e Regno Unito). Con una rete ferroviaria a maglia i ritardi su un troncone generano ripercussioni a catena su quelli collegati.
In questa riflessione sul modello Germania in crisi abbiamo volutamente tenuto fuori i dati di periodo sulla contrazione del Pil tedesco (-0,2% nel 2023) e sull’inflazione in salita (+6,4% a giugno 2023). Dati che messi insieme presentano una economia in stagflazione e con un debito pubblico salito del 2% nel 2022 rispetto al 2021.
I dati di breve periodo possono dire molto, ma anche nulla sulla direzione che la Germania assumerà da qui alla fine del decennio e oltre. Un’altra analisi, questa volta del direttore di EuroIntelligence Wolfgang Münchau, pubblicata dal Corriere della Sera, conferma alcune delle criticità sin qui esposte e ne propone di altre.
La Germania è presentata da Münchau come una nazione industrializzata ferma all’analogico. Il digitale nel paese, come del resto in una certa parte dell’Europa, non è stato adeguatamente sviluppato.
Attenzione, non significa che i tecnici tedeschi non siano iperspecializzati. Lo sono, ma in tecnologie analogiche più che in quelle digitali.
E poi la strategia di approvvigionamento che collegava la Germania alla Russia e alla Cina. Una filiera crollata definitivamente con l’invasione dell’Ucraina.
Il futuro che accomuna la Germania alla casa comune (l’UE) è fatto di materie prime critiche che se si trovano in Europa vanno estratte, altrimenti saremo condannati a una inflazione alta perpetua. Il futuro deve guardare alla digitalizzazione e non indietro (il limite al contante tornato a 5.000€ in Italia).
Sulle auto di domani non ci sarà un motore endotermico, quindi vinceranno le case automobilistiche brave a produrre batterie ad alta capacità e software di gestione delle auto affidabili.
La crisi strutturale della Germania, che è una crisi strutturale dell’Europa, è anche una crisi politica. Il governo tedesco dopo Angela Merkel ha bisogno di ritrovare un nuovo assetto, anche alla luce del nuovo mondo multipolare che contrappone Russia e Cina al resto dell’Occidente (qualsiasi cosa voglia dire “Occidente”).
Writer freelance dal 2013 ha studiato informatica e filosofia ed anche un pizzico di sociologia. Nel 2016 ha scoperto la crypto economy e da allora scrive di blockchain e criptovalute, per approfondire un movimento che non è fatto solo di esperti matematici e crittografi, ma di gente che genera una nuova economia dal basso.