Comprendere le misurazioni della volatilità. Guida alla deviazione standard, all'inice Jensen o Alfa, al coefficiente Beta, e al coefficiente di determinazione (R2).
In questo articolo educational vogliamo affrontare un argomento chiave nell’ambito dei mercati finanziari, ovvero la misurazione della volatilità, ma per farlo dovremo anzitutto capire cos’è la volatilità e solo successivamente potremo presentare e approfondire quelle che sono le principali misurazioni della volatilità, ovvero la deviazione standard, il coefficiente di determinazione, il coefficiente Beta e l’alfa o indice di Jensen.
Partiamo dal definire cos’è la volatilità e perché è così fondamentale nei mercati finanziari, per guadagnare o, all’opposto, per perdere il capitale.
Possiamo definire la volatilità come il ritmo di un asset, il quale muta in valore in base al prezzo determinato dalla legge della domanda e dell’offerta dell’asset stesso.
La volatilità è una misura del livello di rischio di un asset e si usa per valutare le oscillazioni di rendimento.
Gli analisti considerano alti i rischi d’investimento quando la volatilità sui mercati è elevata.
Un indice molto importante, ma non l’unico, che si è affermato come un valido indicatore attraverso cui capire se il livello di volatilità è troppo alto o è basso, si chiama VIX Index ed è stato introdotto dal Chicago Board Options Exchange (Cboe).
L’indice Vix è legato all’indice S&P 500, il quale alla Borsa di New York è considerato il punto di riferimento avendo al suo interno le 500 maggiori imprese quotate sul mercato statunitense. Ebbene se l’indice Vix dovesse superare la soglia dei 20 punti e balzare a livelli molto alti, ad esempio 80 punti, è un chiaro indicatore che sui mercati c’è una altissima volatilità ed un altissimo rischio che possa accadere qualcosa di tempestoso a breve. L’indice Vix è salito fino a lambire gli 80 punti durante la crisi finanziaria del 2008 e nel 2020 per la pandemia, precedendo in entrambi i casi di qualche giorno il crash dei mercati mondiali.
Quindi ricapitolando possiamo dire che: la volatilità misura la frequenza e l’entità dei movimenti dei prezzi, sia verso l’alto che verso il basso, che uno strumento finanziario subisce in un determinato lasso di tempo.
Detto con parole complesse, la deviazione standard è un indicatore statistico di dispersione, che nel campo della statistica è nota come scarto quadratico medio.
Restando però in un ambito meno matematico, e applicando la deviazione standard ad un fondo, possiamo dire che la deviazione standard non fa altro che riportare la volatilità di un fondo che ci indica la tendenza dei rendimenti a salire o scendere drasticamente in un breve periodo di tempo.
Come detto un asset o un titolo molto volatile è considerato a rischio maggiore perché la sua performance potrebbe mutare rapidamente in entrambe le direzioni e in qualsiasi momento.
Con la deviazione standard di un fondo misuriamo appunto questo rischio, calcolando il grado di fluttuazione del fondo in relazione al suo rendimento medio.
Proviamo a fare un esempio pratico di deviazione standard di un fondo.
Se il rendimento di un fondo quinquennale è fisso anno dopo anno al 4%, ebbene in questo caso la deviazione standard è praticamente zero, perché il rendimento del fondo non cambia mai.
Se però il rendimento del fondo cambia continuamente nel corso dei cinque anni (4%, 6%, 2%, 8%, 1%) abbiamo un rendimento medio del 4,2%, che ci mostrerebbe una deviazione standard importante, perché come si può notare anno dopo anno il suo rendimento si discosta non poco dal rendimento medio. Questo è quindi da considerarsi un fondo moderatamente rischioso.
Se invece il fondo quinquennale avesse rendimenti del tipo: -8%; +5%; -3%; +18%; +19%. Che deviazione standard avremo su questo fondo? Avremmo il 6,2% di deviazione standard, indicandoci che si tratta di un fondo con un certo rischio perché oscilla molto tra rendimenti positivi e negativi anno dopo anno e in un lasso di tempo non poi così ampio: cinque anni soltanto.
Riassumendo possiamo dire che: la deviazione standard è una misura statistica della finanza che, se applicata al tasso di rendimento annuale di un investimento, ci fa conoscere la volatilità storica dell’investimento medesimo.
Gli investitori usano questa metrica prima di accettare il rischio d’investimento.
Mentre la deviazione standard determina la volatilità di un fondo in base alla disparità del suo ritorno in un certo periodo di tempo, il coefficiente Beta confronta la volatilità (quindi il rischio) di un fondo con il suo indice, altrimenti detto benchmark.
Ad esempio, il coefficiente Beta può misurare la volatilità di un singolo titolo rispetto al rischio non sistematico di tutto il mercato. Detto con parole statistiche, il beta rappresenta la pendenza della linea attraverso una regressione dei punti di dati dei rendimenti di un singolo titolo rispetto a quelli del mercato.
Se un fondo ha un Beta di 1,05 rispetto al FTSE MIB, il fondo si è mosso del +5% rispetto all’indice. Quindi, se il FTSE MIB dovesse aumentare del +15%, allora il fondo dovrebbe aumentare del +15,75%. Se però il fondo dovesse presentare un beta pari a 3, allora dovrebbe muoversi di 3 volte rispetto al suo indice. In quest’altro esempio, avremmo che un FTSE MIB al +7%, farebbe lievitare il fondo al 21% e viceversa se il FTSE MIB dovesse perdere il -7%.
Il coefficiente di determinazione (R2) deve ancora una volta scomodare la statistica, ma del resto la finanza è matematica e statistica ed è bene che un vero investitore lo comprenda da subito.
R2 è una proporzione tra la variabilità dei dati e la correttezza del modello statistico usato.
Nel campo degli investimenti il coefficiente di determinazione viene interpretato come la percentuale dei movimenti di un fondo o di un titolo, che può essere spiegata dai movimenti di un indice di riferimento.
Prendiamo come esempio un R2 per un titolo con rendita fissa rispetto a un indice obbligazionario, esso identifica la percentuale di movimento del prezzo del titolo che è prevedibile sulla base di un movimento del prezzo dell’indice.
Per calcolare il rischio che l’investitore si è assunto nell’investire, si usa l’indice Jensen o alfa. L’alfa di un titolo o di un fondo aiuta a determinare quanto il rendimento realizzato di un portafoglio differisce dal rendimento che avrebbe dovuto raggiungere.
Prendiamo come esempio un fondo. Come facciamo a capire se il fondo ha sovraperformato il mercato a parità di rischio? Prendiamo il beta del fondo e calcoliamo l’alfa. Se un fondo ha un’alfa di 1, allora esso ha sovraperformato il benchmark dell’1% o viceversa se l’alfa è negativo.
Il calcolo della volatilità non è l’unico fattore da tenere in considerazione prima di decidere dove investire i propri fondi. Tuttavia tenere in considerazione i vari strumenti utili a calcolarla sono preziosi alleati nella costituzione del portafoglio finanziario, perché ci aiutano a fare le scelte giuste in base alla nostra propensione al rischio, e ad evitare asset fregatura.
Writer freelance dal 2013 ha studiato informatica e filosofia ed anche un pizzico di sociologia. Nel 2016 ha scoperto la crypto economy e da allora scrive di blockchain e criptovalute, per approfondire un movimento che non è fatto solo di esperti matematici e crittografi, ma di gente che genera una nuova economia dal basso.