Il prezzo del petrolio greggio WTI e il gas naturale hanno perso quota in maniera significativa e riprendono entrambi al ribasso verso nuovi minimi relativi.
Il prezzo del petrolio greggio WTI ha perso il 10% in cinque giorni, dopo l’annuncio dei dazi di Trump. Sebbene le tariffe non siano direttamente legate alle materie prime energetiche, il loro impatto sui commerci e sulla produzione globale è senza dubbio rilevante.
Sul finire della settimana, anche il gas naturale ha perso quota in maniera significativa, scivolando ampiamente sotto i 4 dollari e verso i supporti intermedi a 3,85/3,80 dollari.
Per entrambe le commodities, anche la settimana che si apre quest’oggi potrebbe rivelarsi profondamente ribassista. In particolare, è il petrolio greggio WTI a rischiare un nuovo collasso fin sotto i 60 dollari al barile.
Precisamente, oggi al momento della scrittura, il petrolio greggio WTI passa di mano a 60,29 dollari al barile e il gas naturale segna 3,760 dollari, entrambi ancora in calo.
Il prezzo del petrolio greggio WTI si ritrova pressato al ribasso anche dall’incremento di offerta dell’OPEC+, che giunge in un momento senza dubbio sfavorevole per la materia prima. Lo shock causato dai dazi di Trump potrebbe proseguire in giornata, con un outlook ribassista che si estende anche fin sotto la soglia dei 62 dollari attuali.
Precisamente, un proseguimento dei ribassi potrebbe aggravare la posizione del petrolio texano fino ai minimi relativi di 60 dollari al barile, un livello di supporto psicologico assolutamente critico.
Un calo sotto questo target potrebbe accelerare i ribassi tra i 59,4 e i 58,5 dollari al barile.
Per recuperare quota in maniera significativa, il petrolio greggio dovrebbe spingersi almeno sopra la resistenza intermedia di 65 dollari al barile.
Tutti gli indicatori rialzisti principali si trovano invece tra i 69,5 (EMA a 50 giorni) e i 72 dollari al barile (EMA a 200 giorni). Il recupero di questi valori appare poco plausibile nel brevissimo termine.
Il prezzo del gas naturale potrebbe invece riprendere quota se la pressione ribassista sui 3,8 dollari dovesse allentarsi. Tuttavia, l’incremento delle scorte negli Stati Uniti e le previsioni meteo in miglioramento indicano una contrazione della domanda con un chiaro effetto ribassista.
Tutto dipenderà dalla reazione del mercato alla spinta ribassista compiuta sul finire della scorsa settimana, quando il prezzo è scivolato del -7% abbondante in una sola sessione di scambi.
Se i trader ribassisti dovessero tornare a imporsi, un crollo sotto i 3,8 dollari agevolerebbe l’arretramento fino ai 3,73 dollari e poi giù oltre i 3,65 dollari. In questo scenario bearish, i supporti successivi potrebbero trovarsi solo a 3,35/3,32 dollari.
Se invece la pressione ribassista dovesse smorzarsi, potremmo assistere a un paio di sessioni di consolidamento sui 3,8 dollari attuali, prima di un tentativo di recupero.
La resistenza a 4 dollari tondi rappresenterebbe il principale target rialzista di breve termine.
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Alberto Ferrante è un editorialista finanziario specializzato in mercati valutari, materie prime e criptovalute. Dopo aver completato gli studi in economia, ha iniziato a scrivere per diverse testate, approfondendo temi legati ai mercati internazionali. Dal 2018 collabora con FX Empire, inizialmente curando una rubrica sulle analisi premarket in Europa. Nel tempo, il suo focus si è ampliato all’analisi tecnica dei principali asset finanziari, con particolare attenzione alle dinamiche dei cambi valutari, delle materie prime e delle criptovalute.Come Managing Editor di FX Empire Italia, monitora da vicino l’evoluzione dei mercati, combinando un approccio tecnico con l’analisi macroeconomica per offrire agli investitori una visione chiara e approfondita delle tendenze globali.