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Il futuro della competitività in Europa secondo Mario Draghi

Pubblicato: Sep 15, 2024, 05:53 GMT+00:00

Il futuro della competitività in Europa secondo Mario Draghi. Ultima chiamata per l'Unione Europea prima di cedere la sua sovranità all'Asia.

Il futuro della competitività in Europa secondo Mario Draghi

Il piano Draghi per l’Unione Europea, se attuato, potrebbe passare come il nuovo piano Marshall per la ripresa dell’Europa. Il nome del piano presentato a Bruxelles presso la Commissione europea, lunedì 9 settembre 2024, è ufficialmente The future of European competitiveness.

Un piano per il rilancio della competitività da far rabbrividire gli obiettivi del Next Generation EU. Infatti, mentre quest’ultimo ha previsto circa mille miliardi di euro da spendere in circa 5 anni, il piano Draghi prevede di spendere ben 800 miliardi di euro l’anno. Una enormità.

Sarà capace l’UE di assumere sulle sue spalle la responsabilità di attuare un piano considerato cruciale per il suo futuro? Lo scopriremo nei prossimi anni, intanto concentriamoci sul testo e vediamo quali sono i punti salienti del piano Draghi per il futuro dell’Unione europea.

Il futuro della competitività in Europa passa per gli investimenti

Investire. La vecchia Europa, forse anche a causa della sua età anagrafica elevata, ha smesso di guardare al futuro come si fa negli Stati Uniti e in Cina. Negli ultimi 25 anni ci siamo lamentati della crescita, ma allo stesso tempo abbiamo ridotto gli investimenti.

Senza investire non vi è innovazione e senza innovazione non si ha la crescita, dunque niente futuro. Volkswagen, che in Germania è costretta a chiudere due stabilimenti perché meno persone vogliono le sue auto (l’esubero si aggira sulle 500mila autovetture invendute), è in difficoltà per la scarsezza di investimenti in motori moderni.

Secondo il report redatto dal gruppo di studio di Mario Draghi, gli investimenti destinati alla produzione sono bassi, mentre il risparmio privato è alto. In particolare dopo la crisi finanziaria del 2007-2008, gli investimenti privati nell’UE sono cresciuti solo gradualmente mentre negli Stati Uniti sono stati impiegati a un ritmo decisamente più veloce.

Prima di poter investire 800 miliardi di euro l’anno, però, l’UE ha bisogno di superare i suoi impedimenti agli investimenti privati che il report di Mario Draghi così riassume:

  • Mercati dei capitali frammentati: lo studio di Draghi fa notare che negli Stati Uniti esiste un’unica autorità finanziaria dal 1930 (Security and Exchange Commission), mentre in UE non c’è una entità omologa. Ciascuno Stato membro dell’UE ha la sua autorità finanziaria e le leggi sono tutte differenti. Di conseguenza i costi per gli investitori sono più elevati e ciò scoraggia l’investimento.
  • Tasse sui capitali: il fatto che all’interno dell’UE non esista una tassazione omogenea sui capitali, con alcuni paesi che tengono la tassazione bassa e altri così elevata da far scappare anche gli investitori nazionali, non gioca a favore dello sviluppo.
  • Fondi pensione poco sviluppati: altro punto su cui si sofferma lo studio riguarda lo sviluppo del secondo e terzo pilastro pensionistico. Il report fa notare che nell’UE sono poche le nazioni dove i fondi pensione privati sono adeguatamente favoriti. Tuttavia ciò non gioca a vantaggio della competitività perché è noto che un fondo pensione investe nel presente per il futuro, e investe sul lungo periodo. L’obiettivo è infatti quello di garantire ai giovani di oggi, una pensione adeguata domani.
  • Eccessiva presenza delle banche: in alcuni Stati europei, tra cui Italia, Spagna e Germania, dagli anni 1960 in poi si è fatto molto più affidamento sull’utilizzo del debito offerto dalle banche e meno sul finanziamento derivante dai mercati dei capitali. Ma le banche hanno dei requisiti stringenti quando erogano i prestiti, inoltre, non sempre hanno tutte le figure professionali interne necessarie per capire i progetti imprenditoriali innovativi che gli vengono proposti e dunque non se ne assumono il rischio.

Report di Mario Draghi: più investimenti, ma dove?

Servono più investimenti, anzi, ne servono davvero tanti. Ma dove bisogna investire tutti i soldi auspicati dal piano Draghi? Gli ambiti di investimento sono ben noti agli investitori, ma li sintetizziamo qui sotto in forma di elenco.

  • Energia: l’UE non può dichiararsi economicamente e politicamente indipendente se non soddisfa la domanda di energia interna producendo sul suo suolo l’energia. Affrancarsi dal petrolio per poi restare attaccati ai gasdotti per pompare gas naturale o, in futuro, idrogeno, non significa guadagnare indipendenza energetica.
  • Materie prime critiche: opporsi all’estrazione di materie prime in Europa, mentre si vogliono le auto elettriche è ipocrisia pura, ma questo è un altro argomento. Da un punto di vista della strategia competitiva europea è controproducente. Dobbiamo estrarre in UE ciò che ci necessita e sopperire alla scarsità con il recupero delle materie prime critiche dai rifiuti trasformati in risorsa.
  • Digitalizzazione e tecnologie avanzate: digitalizzare significa rendere disponibili servizi pubblici e privati anche nei posti più periferici dell’UE. Allo stesso tempo significa anche adottare quelle tecnologie che già esistono, per applicarle alla propria attività produttiva. Prendiamo come esempio il settore dell’edilizia e dei materiali per l’impiantistica. Quelle realtà che hanno sviluppato un’applicazione mobile per consentire ai propri clienti di comprare dallo smartphone e di ritirare in negozio, risultano più vincenti di quelle in cui si utilizzano ancora vecchi schemi di vendita buoni 25 anni fa.
  • Reti di comunicazione ad alta velocità: la digitalizzazione è fattibile se l’UE si dota di una rete di comunicazione ad alta velocità. Tutte le località devono essere raggiunte da una rete di connessione veloce e che sia davvero tale.
  • Elaborazione dei dati (computing) e intelligenza artificiale (IA): la gestione della grande mole di dati che transita sulle reti richiede l’impiego di super computer altamente performanti e costantemente aggiornati. Con l’avvento dell’IA, poi, servono più data center e una capacità di calcolo straordinaria. Bisogna restare al passo coi tempi, ma chi produce processori per l’IA nell’UE?
  • Semiconduttori: la domanda precedente sulle aziende dell’UE che producono chip per l’IA, introduce un altro dei pilastri della competitività. In Europa abbiamo Infineon Technologies, STMicroelectronics, ma non bastano a soddisfare la domanda che viene compensata dalla produzione in Asia. E cosa accadrebbe se la Cina dovesse invadere Taiwan (dove si produce il grosso dei semiconduttori)?
  • Automotive: la Cina fa concorrenza spietata sulle auto elettriche perché ha in pugno l’estrazione delle materie prime critiche e perché con massicci aiuti di Stato sostiene gli investimenti delle sue nuove società. L’UE per ora ha solo saputo alzare il muro del protezionismo con la nuova tassa doganale sulle importazioni di auto elettriche cinesi.
  • Tecnologie pulite: resteremo aggrappati alle vecchie tecnologie che, oltre a inquinare, non producono più ricchezza, o sapremo finalmente spingerci verso un futuro in cui tecnologie tutte da inventare, con gli investimenti, saranno capaci di generare nuova prosperità?

In definitiva

La delocalizzazione degli ultimi decenni ha soltanto impoverito l’Europa costringendola a perdere la base della ricchezza che è la produzione. Il report sul futuro della competitività in Europa di Mario Draghi richiama l’UE a tornare alla produzione e a non basarsi soltanto sui servizi.

Abbiamo delocalizzato a tal punto che anche l’energia e le materie prime arrivano in gran parte da paesi extra-UE.

Se continuiamo di questo passo:

“Se l’Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, un leader nelle nuove tecnologie, un faro della responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni.” (Mario Draghi).

Sull'Autore

Writer freelance dal 2013 ha studiato informatica e filosofia ed anche un pizzico di sociologia. Nel 2016 ha scoperto la crypto economy e da allora scrive di blockchain e criptovalute, per approfondire un movimento che non è fatto solo di esperti matematici e crittografi, ma di gente che genera una nuova economia dal basso.

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